
FRANÇOIS MAURIAC E PIO XII
Nel 1951 era uscito in Francia il primo libro di uno storico che affrontava una ricostruzione della Shoah, il volume Léon Poliakov, Bréviaire de la haine. Le IIIe Reich et les juifs (Paris, Calmann-Lévy). Vi si leggeva una prefazione di François Mauriac, datata a Parigi l’11 aprile 1951 (allo scrittore cattolico cui fu assegnato il Premio Nobel per la letteratura nel 1952).
Per meglio comprendere le quattro pagine che egli scrisse come prefazione al volume, si deve prestare attenzione al fatto che prima di tutto egli sottolineava che questo libro era rivolto ai Tedeschi «che tanta fretta hanno di dimenticare», ma che il “breviario” – riprendendo il titolo originale del libro – «è stato scritto anche per noi Francesi, il cui tradizionale antisemitismo è sopravvissuto a quegli eccessi di orrore nei quali Vichy [il governo collaborazionista] ha avuto la sua timida e ignobile parte».
Lo scrittore si rivolgeva dunque in primo luogo ai propri concittadini, e proseguiva: «per noi cattolici francesi, soprattutto, che, se abbiamo salvato l’onore, senza dubbio ne andiamo debitori all’eroismo e alla carità di molti vescovi, preti e religiosi verso gli Ebrei braccati», continuando con un passo che è stato estrapolato a più riprese:
[…] non abbiamo avuto il conforto si sentire il successore del Galileo, Simone Pietro, condannare con parola netta e chiara, e non con allusioni diplomatiche, la crocifissione di questi innumerevoli «fratelli del Signore». Al tempo dell’occupazione [nazista della Francia], chiesi un giorno al venerando cardinale Suhard [arcivescovo di Parigi], che d’altra parte tanto aveva fatto, nell’ombra, a favore dei perseguitati: «Eminenza, comandateci di pregare per gli Ebrei…», ed egli per tutta risposta levò le braccia al cielo: certamente, la potenza occupante aveva mezzi di pressione cui non si poteva resistere, e il silenzio del papa e della gerarchia altro non era che un ripugnante dovere; si trattava di evitare sciagure peggiori. Ciò non toglie che un crimine di tanta ampiezza ricada in parte non indifferente su tutti i testimoni che hanno taciuto, quali siano state le ragioni del loro silenzio
Prima di concludere, ricordando quanto la polizia e l’esercito francesi avessero collaborato alle retate che avrebbe avuto i campi di sterminio come destinazione finale, François Mauriac cercava di esorcizzare l’antisemitismo dei francesi, e non solo, che i massacri non erano riusciti a estinguere:
«Ai nostri cristiani, eredi di una tradizione di odio contro “la razza deicida”, spetta di sostituire a essa una nuova tradizione fondata sulla storia: la prima Chiesa, la Chiesa di Gerusalemme, era ebraica; Ebrei erano i primi martiri e quello Stefano il cui volto era simile a quello d’un angelo; Ebrea la madre del Signore, ed Ebrea era quella Maddalena che resta il simbolo perenne di tutte le anime generose cui molto sarà perdonato perché molto hanno amato; Ebrei i due discepoli al crepuscolo sulla strada di Emmaus, ascoltanti le parole dello Sconosciuto che spiegava loro le Scritture. E, di comunità in comunità ebraica, grazie a Paolo di Tarso, il fuoco si propagò attraverso il mondo romano».
Referenze bibliografiche
Le citazioni sono tratte dalla prima edizione della traduzione italiana: Il Nazismo e lo sterminio degli Ebrei, Torino, Einaudi, 1955.
Il brano su Pio XII era stato riprodotto da Renato Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Bologna, il Mulino, 2002, e in Roberto Rusconi, Santo Padre. La santità del papa da san Pietro a Giovanni Paolo II, Roma, Viella, 2010, pp. 499-500.
Ci si è occupati delle reazioni vaticane al brano relativo al papa in un recente volume di Andrea Riccardi, La guerra del silenzio. Pio XII, il nazismo, gli ebrei, Bari – Roma, Laterza, 2022, pp. 307-309.