
IO, KATARINA: CATERINA DA SIENA E LO STORICO
Che l’Istituto storico italiano per il medioevo abbia ripreso in mano, e vada conducendo a proseguire, un impegno critico che rimanda ad Eugenio Duprè Theseider – iniziato negli anni ’30 del secolo scorso e allora culminato con la sua edizione delle lettere, datata nel 1940, nelle Fonti per la storia d’Italia – significa molto sull’importanza delle istituzioni per l’esistenza e la conclusione di grandi progetti: in tempi come quelli odierni, che si presentano assai cupi per la cultura – di cui la ricerca storica è una componente vitale.
L’edizione dell’epistolario di Caterina da Siena si è installata in un contesto attuale, e quindi innovativo, con una parallela edizione digitale: «il database informatico (DEKaS), concepito come uno strumento autonomo per la consultazione e lo studio dell’opera, ma anche come un sistema alternativo di selezione, di presentazione e di interpretazione dei materiali che va ad affiancare e a integrare i volumi». Si tratta di una svolta di grande importanza, nell’ambito dello stabilimento critico di testi in volgare che abbiano una tradizione manoscritta non autoriale (si pensi ad esempio all’intricata foresta dei testi profetici: maneggiabili con i tradizionali strumenti critici soltanto quando la loro redazione sia in lingua latina). E si legga quanto scritto nella Premessa dal Presidente, Massimo Miglio.
Peraltro, la distinzione sta nell’apparato delle fonti: «La differenza più importante rispetto all’apparato cartaceo è tuttavia l’indicazione degli autori medievali mai espressamente citati da Caterina, ma che costituivano in molti casi la fonte più diretta: primi fa tutti i domenicani Giordano da Pisa, Domenico Cavalca e Jacopo Passavanti, quindi gli scrittori senesi a lei contemporanei come il Bianco da Siena o Girolamo da Siena, ma anche l’agostiniano Simone Fidati da Cascia. Grazie a questi autori di opere volgari Caterina poté avvicinarsi alla Scolastica, o a opere molto diffuse come la Legenda Aurea di Iacopo da Varazze, le Meditationes vitae Christi o la Vita Christi di Ludolfo di Sassonia. Si è tenuto conto anche dei testi liturgici, della letteratura francescana, come pure della produzione laudistica» (Nota al testo, p. CLXXXVII).
A dare ulteriormente la misura di quanto siano cambiate le condizioni della ricerca storica si ha quando nella Bibliografia del catalogo ci si imbatte in una sezione “Sitografia” – con indicazioni estratte dalla selvaggia giungla dei siti in rete.
- Le visioni di Katerina
«Potrebbe forse parere una cosa molto malagevole a credere a molti, come questa preziosa vergine era dotata et eccellentemente illuminata spirito profetico: ma così era in verità. Intanto che molte volte diceva manifestamente delle cose future, ovvero delle cose fatte fuore de la sua presenzia; ma, che è cosa più mirabile, ci manifestava le nostre cogitazioni, quando vedeva seguitare l’onore di Dio e la salute delle anime» – così in una versione in volgare della Legenda minor della santa.
Questo era stato il mio primo incontro con le fonti cateriniane, quando sono inavvertitamente finito con l’occuparmi di escatologia e apocalittica, di profeti e profezie, con il libro pubblicato negli “Studi storici” dell’Istituto nel lontanissimo 1979: L’attesa della fine. Crisi della società, profezia ed Apocalisse in Italia al tempo del grande scisma d’Occidente (1378-1417) (per inciso, a riprova del fatto che tutto tiene nella ricerca storica, voglio sottolineare che allora, per un’impostazione storico-critica del lavoro, indicazioni illuminanti si dovettero proprio a uno scritto di Eugenio Duprè Theseider, L’attesa escatologica durante il periodo avignonese: un intervento al III convegno tudertino del Centro di studi sulla spiritualità medievale, i cui atti furono pubblicati nel 1962).
Giustamente nella nota 20 a p. 54, nel contributo di Sara Bischetti sulle lettere originali, si ricorda che «il ruolo di Caterina “profetessa” è stato messo in risalto da Claudio Leonardi non solo nel contributo appena citato [Caterina da Siena: mistica e profetessa (1982), pp. 155-172], ma anche in uno studio precedente [Caterina la mistica (1989), pp. 170-195]. A questa tesi si contrappone quella di Rusconi, in L’attesa della fine, p. 34, dove il ruolo profetico della donna viene ridimensionato, poiché conferitole solo successivamente dai suoi discepoli». Sono andato a riguardare quelle pagine e ho ripescato il brano: «In realtà il carisma profetico che Raimondo da Capua e i suoi imitatori nella redazione delle legendae attribuiscono a Caterina non trova corrispondenza né nelle vicende storiche né nel suo epistolario».
Un poco mi imbarazza ricordare le opposte opinioni, in assenza della persona, cui un giorno confessai: «Mi affascina tutto quello che scrivi, ma non sono d’accordo su nulla» – dal momento che una opzione prima ideologica che confessionale, in un senso che oggi si definirebbe forse “tradizionalista”, alterava le valutazioni di un grande studioso della letteratura religiosa del medioevo latino. Comunque, sarei lieto di essere smentito – ma ne dubito – dal progredire dell’edizione delle lettere.
È prassi secolare di far intervenire nelle procedure ecclesiastiche anche qualche oppositore, per fare mostra di obiettività (in tempi molto recenti, nell’affrettato processo canonico concernente la santità di Giovanni Paolo II si è raccolta appunto la deposizione sfavorevole dell’antico abate di San Paolo fuori le Mura, Giovanni Franzoni). Nel processo castellano un frate agostiniano poté esprimere le proprie riserve sul carattere profetico delle esternazioni di Caterina, sottolineando che, formulando predizioni di sventura, prima o poi avrebbero trovato rispondenza negli avvenimenti di quell’epoca tormentata.
- L’invenzione delle immaginette devozionali
Nel catalogo, e in particolare nel contributo di Marco Cursi, si dà la giusta rilevanza alla rappresentazione iconografica dell’immagine cateriniana. Vi emerge una notevole invenzione nell’ambito della propaganda a favore del riconoscimento della santità, vale a dire la diffusione di piccole immagini volanti – quelle che noi chiameremmo i “santini”, di cui si è fatto larghissimo ricorso a partire dall’uso della stampa e in modo massiccio nel corso dell’Ottocento.
Tommaso di Antonio da Siena detto il «Caffarini, impegnato in un’infaticabile attività di promozione del culto cateriniano […] attribuiva una notevole importanza alla diffusione delle immagini della santa, tanto che in un passaggio del suo Supplementum […] afferma esplicitamente di avere dato ordine “ut ymago virginis non solum in nostris ecclesiis et in aliis pingeretur, sed quod etiam in cartis parvis ut sic habilius multis comunicari valeret et a pluribus honorari necnon et facilius divulgari”» (p. 2).
Immagini come quelle si inchiodavano sui muri delle abitazioni oppure si ritagliavano e si incollavano nei propri libri, manoscritti e a stampa, per ricordo o per devozione.
I frati Predicatori ne fecero ampio uso, soprattutto nella seconda metà del Quattrocento, per promuovere la devozione nei confronti dei propri santi canonizzati – nel Duecento Domingo di Calaruega e Pietro da Verona detto “martire”, e dopo la rispettiva canonizzazione del predicatore catalano Vicent Ferrer nel 1455 e di Caterina da Siena nel 1462 – sin dal principio accomunati negli attributi tradizionali della santità domenicana.
Nell’intervento di Marco Cursi, con raffinate osservazioni, si richiama l’immagine silografica della santa senese, posta agli inizi della stampa epocale delle Epistole devotissime, dovuta ad Aldo Manuzio nell’anno 1500 – in cui il dispiegamento degli attributi appare peculiare della santa senese: il libro (aperto) sormontato dal crocefisso, dalla palma del martirio e dal giglio della verginità, nella destra, e in questo caso nella sinistra un cuore radiante in cui è inscritto “iesu”, mentre gli angeli (altrimenti Cristo stesso) reggevano al di sopra del suo capo una triplice corona.
D’altro canto, nel secondo quattrocento, anche sulla spinta della recente canonizzazione, alla nuova ars artificialiter scribendi sarà affidato tre volte il Dialogo della divina provvidenza (e addirittura una sua traduzione in latino). A Ripoli le monache domenicane di S. Iacopo avevano messo in attività una stamperia di testi popolari in lingua volgare, e quindi non mancò una Vita di S. Catarina da Siena (1477). Con la loro iniziativa forse ispirarono l’impresa ventennale del domenicano Bartolomeo da Alzano, che stava alla base della raccolta manuziana. Quanto alle lettere, era attestata soltanto una modesta stampa bolognese: niente a che vedere con l’imponente edizione manuziana in folio, indizio di acume commerciale e segno di devozione personale – quella “profonda religiosità” che aveva suscitato l’ammirazione di Carlo Dionisotti (Cursi, p. 27). Ma si leggano direttamente le accurate pagine che Marco Cursi dedica ad Aldo Manuzio.
- Il crocevia della datazione.
Quanto alla rilevanza filologica dell’impresa, personalmente mi mancano requisiti e competenze per tentare di fare un’osservazione intelligente (arrivato alle pagine di Giovanna Frosini ho alzato bandiera bianca: per non parlare della decina di pagine di nota al testo). Ho trovato francamente geniale, nella mia ignoranza in materia, la decisione di pubblicare l’Epistolario ordinando le lettere in base ai destinatari, disincagliandosi quindi dalle secche in cui si erano in qualche modo arenati sia Robert Fawtier sia Dupé Theseider (per non menzionare Nicolò Tommaseo). Ciò non ha certamente comportato un disinteresse per i problemi di datazione, che sono stati appunto chiariti nella Nota al testo.
A proposito della Datazione si richiama soltanto la frase iniziale: «Il testo critico di ogni lettera è preceduto da una sezione Datazione articolata in una sintetica proposta cronologica e in una argomentazione nella quale si presentano, oltre agli elementi datanti sui quali si è ricostruita la cronologia della missiva, anche le precedenti ipotesi di datazione. Le note storiche che corredano il testo critico delle lettere identificano persone, luoghi e fatti cui Caterina da Siena fa riferimento» (p. CLXXXI).
- Le raccolte e la storia.
L’edizione critica ha consentito di recuperare ciò che, in varie circostanze, era stato eliminato «dal corpo delle lettere» in «quanto non avesse valore assoluto ed eterno di documento spirituale», restituendo invece la «sezione dedicata alla trattazione delle questioni personali, delle res familiares intercorrenti tra la mantellata e i suoi corrispondenti» (p. CLXXXI).
A mio (non) modesto avviso, ancora più rilevante è il risultato complessivo emerso dal denso Catalogo dei manoscritti e delle stampe
- Ancora sulle stimmate spirituali
Nelle immagini riprodotte nel dossier allegato al Catalogo, mancano ovviamente riproduzioni della allegata stimmatizzazione “spirituale”, dal momento che nella tradizione manoscritta considerata sono inevitabilmente altri i messaggi che le immagini vogliono imprimere nella memoria: la divina ispirazione della mantella senese e la trasmissione del testo a seguaci e fedeli.
In un recente volume di “Memorie domenicane” è compreso un accurato intervento di Gábor Klaniczay, Le stimmate: la narrazione e le immagini, che è opportuno accostare a quanto nell’apparato iconografico del Catalogo rimanda alla questione delle stimate cateriniane – anche perché ha fatto risvegliare nella mia mente l’attenzione di uno studioso (alle origini) di predicazione quattrocentesca.
«Nel 1461, il papa senese Pio II decise la canonizzazione di Caterina. Per celebrare la messa festiva dopo la canonizzazione a Roma, in S. Maria Sopra Minerva, fu incaricato il vescovo francescano Roberto Caracciolo da Lecce. Dopo un bel panegirico di Caterina, Roberto inserì nel suo discorso una lunga citazione della leggenda di Raimondo da Capua con la descrizione della stigmatizzazione di Caterina. E a questo punto aprì il fuoco». Si trattava di un «attacco francescano contro le rappresentazioni ma anche contro la verità delle stigmate di Caterina». […]
«Quando dieci anni più tardi un Francescano diventò il nuovo papa, Sisto IV, questo conflitto peggiorò rapidamente. Nella bolla Spectat ad Romani del 6 settembre 1472, il papa proibì la rappresentazione di santa Caterina “cum stigmatibus Christi ad instar beati Francisci” e persino la menzione delle stigmate nei sermoni, e questa proibizione venne ripetuta nel 1475 e nel 1478». […]
«Dopo la morte di Sisto IV (1484) non tardò la reazione dei Domenicani contro la proibizione».
Ma una battaglia condotta per mezzo delle immagini non deve portare via troppo tempo a una riflessione che riguarda soprattutto i testi. Si ricordi soltanto che, nella questione della stimmatizzazione e nella rivendicazione di virtù profetiche, le imitatrici di Caterina da Siena dell’ultima parte del Quattrocento andarono ben oltre le caratteristiche del loro preteso modello – verosimilmente perché si affidavano più alle legendae che alle lettere della mantellata ovvero al suo Dialogo. Come ha ben intitolato Marco Cursi, si passa «dal tempo delle lettere al tempo dei libri» – un passaggio di cui quella appena accennata è una delle conseguenze
- Le “Note al testo” e la storia
L’impresa di cui stiamo parlando presenta indubbiamente diversi risvolti, e di certo xcv gli elementi di storia si presentano di grande interesse:
«Favoriti da un ordinamento basato sui destinatari, che mette dunque al centro l’identità storica delle persone, si è provato a dare risalto alla rete di relazioni della quale l’Epistolario è al tempo stesso fonte e “specchio”. La prima nota dell’apparato si riferisce sempre proprio al destinatario, e quando possibile, cerca di rendere evidenti i legami tra il destinatario e il cenacolo cateriniano, di riannodare le maglie di quella trama di discepolati, legami devozionali, relazioni e interlocuzioni occasionali o consuete che sottendono alla redazione delle missive, di ricostruire circostanze e relazioni che raccontano per quali strade l’esistenza di Caterina si è intrecciata, anche attraverso la scrittura, ad un microcosmo di persone tanto diversificato e vario. Per quanto possibile si è cercato inoltre di identificare persone, luoghi e fatti cui Caterina fa riferimento nelle missive e di restituire la sua esperienza e il suo apostolato pubblico alla società del suo tempo, riportando l’azione della mantellata senese entro il quadro delle contingenze, delle decisioni politiche, delle circostanze economiche, delle storie familiari della Toscana, e non solo, dell’ultimo quarto del Trecento» (pp. CLXXXIII-CLXXXIV) (si veda anche p. CLXXXII).
Un sondaggio su questo primo volume dell’Epistolario cateriniano, per quanto saltuario e forzatamente casuale, ha consentito in primo luogo di constatare la fecondità dei risultati – laddove sono stati resi disponibili gli elementi espunti a favore di una circolazione delle lettere incentrata soltanto sulla parte “spirituale” del loro testo.
Negli a nni della mia tesi di laurea mi capitò di collaborare saltuariamente con l’Istituto Cattaneo di Bologna, a quel tempo una sorta di braccio scientifico del Mulino. Il sociologo Vittorio Capecchi aveva curato la pubblicazione di alcuni ponderosi volumi, fitti di numeri e statistiche: scherzosamente, aveva istituto una sorta di premio per chi vi avesse riscontrato qualche errore materiale. Chi si avventurasse nelle fitte pagine della Nota al testo del Catalogo rimarrebbe invece a mani vuote.
Conclusione
Alcune parole devono essere spese a proposito della impresa cateriniana nel suo complesso, lasciando questa volta la parola al Presidente dell’Istituto, Massimo Miglio, che nella Premessa al Catalogo ha espresso una attenta valutazione – peraltro ripresa da Sofia Boesch Gajano in una prefazione al primo volume dell’Epistolario:
«A me preme sottolineare una particolarità della ricerca nel suo insieme: il duplice orientamento seguito all’analisi della tradizione, in cui la ricostruzione critica del testo e la rappresentazione problematica e ragionata dell’apparato vengono sorrette e alimentate dallo studio storico e materiale dei singoli codici, che permette di scoprire la profonda cultura trasmessa e riprodotta da ogni testimone. Un sistema dinamico […] nell’indirizzare alla comprensione piena del testo» (p. XI).
Il rituale delle presentazioni di libri prevede che, accanto alle lodi, in questa circostanza largamente inferiori al merito di autori e curatori, si debbano fare delle critiche. Con un certo sforzo avrei individuato alcuni casi dell’ordinamento alfabetico. Se ne ricordano i criteri, di estrema importanza, in quanto governano la disposizione delle lettere nell’Epistolario: «il lemma guida è sempre il nome proprio, accompagnato dall’appellativo o dalla carica o da altri elementi significativi riportati nelle altre rubriche (…). Nel caso di destinatari non esplicitati o non correttamente riportati nella rubrica della lettera, ma storicamente identificati o noti, si pone tra quadre, sotto il lemma guida, il nome del personaggio» (Nota al testo, p. CLXV). E quindi in questo primo volume dell’Epistolario, abate e abbate, abbadessa, arcivescovo, badessa. Ma sono osservazioni le mie, che a me sono parse altamente futili, persino, e quindi ce le risparmiamo.
Nell’edizione dell’Epistolario sommessamente, come era nel carattere della persona, si ricorda Elena Malaspina. Il Catalogo dei manoscritti è dedicato a Isa Lori Sanfilippo. Anche per i miei rapporti con la studiosa, con Mario, le figlie e i figli – cui sono personalmente affratellato – non posso che sottolinearlo, per tutto quello che la ricerca medievistica in Italia, e la formazione di tanti giovani studiosi e studiose, devono a “Isa”.
Adattamento della presentazione letta a Roma il 25 gennaio 2024, nella sede dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo. Nel testo si è mantenuto il carattere discorsivo.
Si parlava di
Caterina da Siena, Epistolario
Catalogo dei manoscritti e delle stampe, a cura di Marco Cursi, Antonella Dejure, Giovanna Frosini; premessa di Massimo Miglio; schede dei manoscritti di Sara Bischetti e Angelo Restaino; schede delle stampe di Edoardo Barbieri; con la consulenza linguistica di Caterina Canneti et al. Roma, nella sede dell’Istituto, 2021
(Fonti per la storia dell’Italia medievale. Antiquitates, 54)
Caterina da Siena, Lettere A-B, edizione critica a cura di Attilio Cicchella et al.; commento storico a cura di Nelly Mahmoud Helmy, Damien Ruiz; studio linguistico a cura di Vincenzo D’Angelo; coordinamento a cura di Antonella Dejure. Roma, nella sede dell’Istituto, 2023
(Fonti per la storia dell’Italia medievale. Antiquitates, 58)